- Dopo quasi trent’anni di attività dalla fine degli anni settanta ad oggi, tra l’altro rispetto alla formazione originale sei rimasto solo, cos’è cambiato?
R: E’ inutile negare un’evidenza interiore e sottolineare quanto è stato importante con gli storici musicisti con cui sono cresciuto (in particolare allude a Enzo Caponetto e Guido Migliaro), di cui mi manca molto l’amicizia che ci legava, ma questa è alla fine un’evoluzione normale. La vita continua e la stessa vita ti allontana offrendoti delle opportunità diverse, ognuno dei musiciti storici degli allora Blue Stuff ha preso la sua strada, perché era troppo difficile guadagnare suonando. Quella formazione (che poi ha accompagnato anche Joe Sarnataro, alias Edoardo Bennato) con cui si è suonato per quindici anni, facendo anche 180 concerti all’anno (inizio anni novanta), ma non nei club sotto casa, bensì in giro, arrivando a suonare anche in Germania. Quella formazione non ha avuto più la forza fisica per reggere questo urto quotidiano e di continuare a sopravvivere attraverso il blues. Quello che in fondo succede tuttora (basta ascoltare la biografica “Soldi” per cogliere meglio il senso) e anche se adesso ho superato i cinquantanni mi ritrovo con le stesse prospettive di allora.
R: Lo è, ma per fortuna non ci lamentiamo...non c’è niente di più di bello di sedersi alla guida del furgone, sempre se funziona, e con i musicisti giusti, non quelli che fanno i pigri musicanti impiegati, e dire con entusiamo: stiamo andando a suonare! C’è sempre quel briciolo di avventura, l’entusiasmo di suonare, di vedere che pubblico ti aspetta...altro pubblico...altro blues. Adoro non preparare una scaletta, ma mi piace improvvisarla in base al pubblico che incontro serata dopo serata.
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