Corey Harris è tornato all'ovile del blues? Ebbene Si, anche se non proprio al 100%, l'impegnato titolo "Fulton Blues" è il punto di partenza. Fulton è una comunità storica a Richmond, VA. Dalle sue banchine sul fiume James i primi schiavi africani sono stati trattati sul mercato. Questa città nera è rimasta per oltre 300 anni prima di essere sfrattata dalla forza del progresso. Il nuovo lavoro di Corey Harris va inteso come la sintesi dell'universo "black" percorso fino ad ora. La sensazione è che si vuole accontentare tutto il pubblico che si è incontrato sul suo percorso artistico. Pertanto possiamo ritrovare l'intima intepretazione acustica (con armonica) della title track, insieme a "J.Gilly Blues", ma allo stesso tempo abbissarci ancora una volta nel Rasta Blues Experience di diversi brani reggae come "Motherless Child" o "Sweatshop". Perdendo la bussola in un paio di momenti jazzati con funky come la bella "Where All The Kings", ci piace, e brani arricchiti come "A Blues", con piano e colori. Strano naturalmente trovare i fiati ("Crying Blues) o la presenza di brani un po' anonimi come l'esercizio jazz di "Base Heads Live", piacevole ma un po' fine a stesso, o l'orecchiabilità di episodi come "In Frankie Doris", dove addirittura si rischia di confonderlo con Ben Harper. Ma su 14 brani la varietà resta alta e per gli adulatori del blues acustico di Corey Harris potranno trovare piuttosto sbilanciata dalla propria parte con "Underground", "Devil Got My Woman", "Black Rag" e altre ancora. Meglio di niente? Sounds Good... Ben ritrovato!!!
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