Memphis, 7 febbraio 2009. “Il Blues” ha vinto. All’unica rivista italiana interamente dedicata alla musica blues e dintorni, The Blues Foundation ha consegnato il premio Keeping the Blues Alive 2009, con cui le si riconosce l’importanza del lavoro svolto nella diffusione della musica Blues in Italia. Se quindi è per noi motivo di legittimo orgoglio ricevere tale prestigioso riconoscimento direttamente dalla Fondazione statunitense, ciò che ci lascia perplessi è il disinteresse dimostrato nei nostri riguardi, ora e nel corso dei nostri 26 anni di esistenza, dalle istituzioni e dai media (siano essi la carta stampata, radio, tv e virtuali). Con ciò vogliamo dire che la commissione americana esprimendo la sua preferenza nei nostri riguardi, ha riconosciuto nel nostro lavoro quella passione che cerca di trasmettere le emozioni di questa cultura di vita. E questo a noi basta. “Il Blues” ha vinto. E questo risultato è merito di tutti, collaboratori passati e presenti, per l’apporto conferitogli affinché assumesse una sua fisionomia. Impossibile a questo punto non ricordare chi non è più qui fisicamente, ovvero Al Aprile con il suo mondo musicale a tutto tondo, Felice Motta con la sua fede per questa musica e Guido Toffoletti che la suonò sino alla fine e di cui proprio quest’anno ricorre il decimo anniversario della scomparsa. Ma ci sono anche due cose che questa rivista ci ha insegnato. La prima, e qui ci scusiamo con i lettori, è che nelle nostre pagine, al contrario di quello che appare nelle riviste rock, non vi raccontiamo storie di miti (l’unico che avevamo a disposizione, Robert Johnson, ce lo stanno smontando un po’ per volta), non troverete favole disseminate in 12 pagine a colori ma molte realtà di uomini, con le loro necessità quotidiane, le cui seriosità e brevità finiscono per diventare, inevitabilmente, l’asse portante dei nostri scritti. La seconda è che per fare una rivista di Blues non ci vuole solo il sapere delle persone ma, fondamentalmente, l’amore per quella musica. Con questo primo numero del nuovo anno, abbiamo deciso di lasciare alla guasconeria di Robert “Bilbo” Walker il compito di tracciare i confini del suo blues. Ma come i lettori sanno, ci piace, quando riusciamo, contrapporre personaggi ed idee. In questo caso è il turno del taciturno Sam Carr, ricondurci con i piedi per terra, assieme all’esperimento dei Carolina Chocholate Drops, cioè un trio che unisce il passato con la concezione che esso non finisce ma si trasforma, senza per questo dimenticare l’eclettico Fernando Jones, professore al Columbia College di Chicago. Uno spazio a sé lo occupano Toots Hibbert, con il suo amore contagioso per il reggae e la stima profonda per il grande Otis Redding di cui in fondo è, almeno in spirito, il fratello giamaicano, e Dave Specter che il Chicago Blues lo vive filtrandolo attraverso la sua passione per il jazz e lo swing. Se ci spostiamo nel versante della musica incisa, troviamo la quasi perfetta parità tra prodotti qualitativi di artisti di colore e non. Se da un lato la dimensione acustica di Jimmy “Duck” Holmes e Pat Thomas chiede sostegno alla elettrificazione di Byther Smith, dall’altro il sempre più sorprendente e semiacustico Ian Siegal, per non perdere posizioni, si fa appoggiare dai NMAS e Derek Trucks. Buona lettura e buon ascolto. Marino Grandi
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.