lunedì 16 agosto 2010

Il Blues - Ernesto Assante



Riporto il mio commento al post inserito sul blog di Ernesto Assante, commento che alla fine si è perso inevitabilmente nel calderone di una piazza di situazioni personali e lontane dalla discussione postata da Assante. Il fine è di condividere qualche punto di riflessione anche qui:

...Mi inserisco facendomi spazio tra i numerosi commenti, che lievitando si sono poi allontanati dal sensibile post di Assante, che condivido pienamente. A prescindere dal “buon blues a tutti” (lanciato un po’ alla Trevers) a volte mi chiedo si parla sempre più spesso di blues, lo si confonde, lo si associa, lo si imbastardisce etc…ma lo si sente veramente? lo si ascolta? ancora più raro: lo si acquista? Eppur vero ci sono i decantati festival di Blues a polarizzare il gregge del blues, che in parte poi nascondono dietro ben altro vedi ad esempio: (ormai) il Pistoia Blues, in ultimo il Brianza Blues festival (in cui l’unico a suonar blues è stato alla fine il ns Max Prandi). Eppur vero si scrive tanto di blues – ormai una pubblicazione diversa al mese – ma quanti leggono di blues? Esiste da quasi 30 anni un magazine indipendente di Blues tutto italiano (pensate che in Francia ne esistono 4), che è in toto ignorato, in primis dai nostrani musicisti o quelli presunti di blues, a cui piace associare SRV a Muddy Waters. “E’ il blues, insomma, ed è destinato a non morire mai…” aggiungerei non per tutti.

1 commento:

  1. Oggi tutti respiriamo musica ispirata al blues. Egregi strumentisti dichiarano smisurati debiti nei confronti delle twelve bars. Tutti rappresentano la loro dichiarazione d’amore nei confronti del blues, elemento così familiare da ritenersi quasi elastico ed espandibile, pervasivo della nostra esistenza… Persino una marca di profilattici ha preso il suo nome! Ma è anche vero che sono veramente pochi quelli che adottano il “blues style”. Quelli che scelgono la marginalità come scialuppa di salvataggio da Babilonia, alla ricerca di una via di scampo all’appiattimento che decenni di televisione commerciale hanno operato sulla cultura.
    La nostra specie non è mai stata così ricca e potente, eppure così debole verso il senso di anomia e alienazione, l’assenza di radici e di antenati, la sensazione di essere merci più che persone, la perdita di amore, famiglia e luogo d’origine.

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