Il critico periodo, che ci obbliga a stare spesso da soli, ci ha portato ad ascoltarci di più e a lasciare esplodere desideri nascosti. Immaginate a quanti piccoli musicisti che hanno sposato un genere per pochi come il blues, come vocazione e missione artistica. Secondo voi come se la passano? Una nota positiva è suonare e crederci! Succede a realtà come Ale Ponti. Il suo è un grido in silenzio a voler suonare e a non smettere di farlo pur sfidando gli insidiosi rivoli del blues acustico.
Sotto la distribuzione della emergente e promettente Trulletto Records Ale Ponti segue a ruota l’esperienza estremamente positiva di Stefano Barigazzi: quello di puntare al blues crudo e polveroso del delta!
La voce matura e il suo stile chitarristico "fingerpicking" ci riportano alle atmosfere del sud degli Stati Uniti nei periodi pre bellici tra country blues e delta blues. Eppure Ale Lone Ol' Dog Ponti emerge senza fare troppo rumore nell’area musicale milanese con dosi di blues, gospel e ragtime. Scopre e si innamora del blues e in generale della musica nera di inizio secolo scorso, con un percorso musicale a ritroso che lo conduce in pieno Sud degli States, nel Delta e giù ancora verso New Orleans. Si avvcina e studia i maestri del genere (Robert Johnson, Rev. Gary Davis, Big Bill Broonzy e altri). Affina la sua tecnica sotto la guida dell'amico e maestro Max De Bernardi. Al suo attivo due cd: "Going Back To New Orleans" dedicato alla città della Louisiana in cui ha vissuto e suonato per un breve periodo e l'ultimo "Dead Railroad Line Chronicles" di soli pezzi autografi.
Il suo album è disponibile su Trulletto Records sotto la supervisione di Sebastiano Lillo: https://www.trullettorecords.com/
Ecco come ce lo descrive lo stesso Ale:
L'album è una sintesi degli ultimi anni passati a suonare blues e vivere di lavori più o meno improvvisati. Sempre in bilico tra la periferia, la mia città e le città del mondo che ho amato (New orleans, Marsiglia e altre). Già dal titolo si capisce che è fatto di tinte scure, di una sensazione sfuggente ma onnipresente di essere su un binario morto.
Ma su quel binario morto si incontrano spesso anime speciali, una di queste su un binario morto ci è morta davvero: era mia amica ed era arrivata con belle speranze dalla Nigeria in Italia. E' finita su una strada, a dormire sui vagoni abbandonati della Stazione Centrale dove spesso la accompagnavo quando finivo il mio turno di notte. Su quei vagoni ha detto addio alla vita. La sua storia è riassunta nel pezzo che dà titolo al'album “Dead Railroad Line Chronicles”, dove nel dialogo con Conny (questo il suo nome) riecheggiano I treni e le ninne nanne a suo figlio. In Lone Ol Dog Blues riecheggia la fatica e la fierezza di una vita che spesso per un musicista è solitaria, a dispetto di ciò che si possa credere. A fargli da controcanto c'è “Lord Send An Angel In My life”, dove questa solitudine chiede di essere affiancata da qualcuno, un angelo in forma di donna. Il termine “Chronicles” allude al fatto che di una quasi-cronaca si tratta, quindi anche con un occhio ai tempi che viviamo, senza però alcuna velleità di messaggio politico o sociale. Come in “Immigrant Blues” dove in chiave intimista viene descritto il viaggio di un viaggiatore sconosciuto che lascia la sua terra con moglie e figli, attraversa deserti, viene incarcerato, picchiato e finisce per morire in un qualche mare e mentre affonda si augura solo che sua moglie e i suoi figli ce l'abbiano fatta. In “I'm a Locomotive Papa” riecheggia l'epopea degli hobos, e la forza vitale che ci spinge sempre avanti, come una locomotiva appunto, nonostante i guai.
Il tempo passa, arriva la malattia e il dolore, la sensazione di doversene andare senza aver concluso il proprio percorso, arrivano i drammi familiari. Queste tematiche vengono espresse in “Nobody Knows My Name”, “I'm Getting Old”, “Nobody Loves Me Like My Mother Did”.
L'album vuole essere un canto alla vita a metà tra il malinconico e il gioioso, tra la resa e la lotta.
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